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Da Elena al Primitivo, con Vespa rinasce il mito di Troia

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di Carlo Cambi

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Il fascino di Elena è assoluto: in lei s’esprime l’eterno femminino e il suo mito travalica i millenni per richiamarci al duello voluttà-volontà. Non sembri esagerato evocare la donna dea per cui tutto si compie nell’Iliade per ragionare di vino, ma se il succo della vite è anche quello della vita è perché è un prodotto culturale – e questa bottiglia lo esplicita. Parlo oggi dell’uva di Troia, opima nella sua energia vitale, per un paio di secoli disconosciuta nella sua eleganza e destinata prima a corroborare in taglio i vini esangui ma blasonati del Nord, poi obliata. I vignaioli del Sud della Puglia l’hanno riabilitata (come accadde alla regina di Sparta) e con questa bottiglia torna regale.

L’ha concepita Bruno Vespa che da Porta a porta s’è trasferito a vigna a vigna! Scherzo. Bruno ha in Puglia una delle masserie – cantine più affascinanti al limitare di Manduria dove il primo intento suo dei suoi figli Alessandro e Federico – è stato quello di celebrare il Primitivo oltre a rendere omaggio, con il Donna Augusta, un bianco di rara eleganza, alla signora Augusta la “mater magistra” della famiglia.

Riccardo Cotarella, enologo Vip e dei Vip, ha convinto Bruno a celebrare l’altro nero di Puglia, quello di dimensione epica. Nasce cosi Helena, un’uva di Troia in purezza che subito ha fatto disputare come ai tempi del “pomo” di Menelao da conferire alla più bella.

È un vino di fascino assoluto che dopo la prima uscita già figura nell’enoteca di Buckingham Palace e ha trovato residenza nei luoghi cult del vino nel mondo. Del resto Federico II ne impose ampia coltivazione, lo Stupor Mundi non poteva bere niente di meno. Nasce da vigna antica (oltre mezzo secolo) da vendemmia ottobratica, rese esigue e fa lunga macerazione, indi affina un anno in barrique. Il risultato è un vino che nel cristallo si mostra rosso Tiziano Brillante con riflessi d’inchiostro, ma pare velluto.

Stavolta l’occhio s’accorda al palato. All’olfatto racconta frutto nero, mora in abbondanza, liquirizia, soffio di spezia e d’alloro. Al palato è velluto con tannino soave e compiuta armonia tra corpo e freschezza. Ha ritorni lunghi di spezia e noce moscata. Da carni rosse, funghi, caccia, paste con sughi spessi e caciocavallo stagionato. Per me con gli gnumarieddi è confidenza col mito.

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